mercoledì 12 gennaio 2011

Gli "Osami" del mondo


In un mondo perfetto gli eserciti devono esistere, perché l’uomo ha istinto animale e beffardo.
In un mondo ragionevolmente imperfetto, gli eserciti servono per difendere il territorio e gli equilibri interni da eventuali istinti animali e beffardi, che sarebbero incontrollabili in condizioni imbelli.
Da millenni, in nome di religioni, etnie o presunte ragioni economiche contingenti, l’Homo Sapiens, ossimoro vivente, dichiara guerra a chi non gli sta bene.
Ai tempi nostri, l’Homo Democraticus ha stabilito che gli eserciti servono per andare a disturbare le popolazioni di Paesi che non la pensano, democraticamente, come lui.
Ma l’Homo Democraticus ha fatto qualcosa in più, immemore dell’effetto che le crociate in Terra Santa hanno prodotto una volta risoltasi la loro causa: ha deciso di inventarsi il pretesto (si ricordi l'invenzione di G.W. Bush sulla presenza delle armi di distruzione di massa in Iraq) per muovere guerra.
A quegli odiati Paesi che la democrazia non la vogliono perché non sono in condizioni di poterla esercitare per etnia, religione, tradizioni.
Le stesse ragioni che muovono guerra dall’esterno e a prescindere, in nome della loro libertà.
L’Homo Democraticus è libero e si arroga il diritto di imporre la libertà anche agli altri. E basta.
Purtroppo non si può imporre una volontà di forza senza fornire gli strumenti per poterla acquisire anche e soprattutto in tempo di pace: è giocoforza che questa venga a priori rifiutata. Anzi, combattuta.
In Paesi radicalmente diversi dall’Occidente, la lapidazione esiste da millenni e non potrà mai venire sostituita da una più molto più democratica sedia elettrica o da una iniezione letale.
Le armi, munizioni, mezzi, divise che si producono devono quindi, in qualche modo, essere vendute (o peggio, ri-vendute) al cliente di turno perchè il mercato della guerra è sempre assetato ed è, come sempre, il leader dell’economia, oggi definita “globale”.
Il ravvedimento di Hinkel o del mercante di armi di Sordiana memoria rimangono, purtroppo, soltanto nella pellicola (e nella storia) del cinema mondiale.
E allora la macchina del business guerrafondaio continua a mietere le sue vittime.
Sono infatti già 9 i soldati stranieri morti in Afghanistan dal 1 gennaio 2011 con pace (eterna) di chi, in queste guerre di volontari ci crepa allo scopo di guadagnarsi da vivere per sé e per le proprie famiglie.
Ogni nazione piange gli eroi caduti per una o al massimo due settimane, il necessario per indignarsi a sufficienza e per riempire pagine di quotidiani, riviste e trasmissioni televisive.
E inneggia alla liberazione delle Sakineh di turno, dimenticando tutti gli innocenti civili che morti lo sono già, loro malgrado.
L’Homo Democraticus è soggiogato dal potere economico e ne è minacciato sia psicologicamente che fisicamente.
E’ uno schiavo del sistema da lui prodotto e, come tale, deve sottostare alle regole del gioco.
Quando non esiste un Bin Laden se ne deve inventare uno.
Perché in Paesi in cui l’anagrafe è un’opinione ed il censimento viene un tanto al chilo, di Osami se ne possono creare infiniti, oppure nessuno.
E’ sufficiente prendere un tizio con la faccia spiritata, gli occhi luciferini, la barba lunghissima, il turbante bianco, la tunica e il fucile mitragliatore ed ecco che, magicamente, viene creato il nemico ideale.
L’arabo ferocissimo da combattere ed eliminare “in wanted conditions”, con tanto di taglia capestro che esalta il giustizialista moderno metropolitano (e fa tanto, pateticamente, John Wayne che il soldato lo ha fatto soltanto al cinema).
C’è anche il plusvalore: l’arabo in quanto extracomunitario (o extrafederale, a scelta) diventa ancora più perseguibile e feroce, nell’immaginario collettivo alimentato da una stampa impazzita e sabbatica che deve tenere, perché costretta, i ritmi del potere.
Oggi più di ieri il Potere inventa perché è strettamente colluso con l’economia, in un patto mortale inscindibile.
Potere come sinonimo non più di sete di conquista, di fama, di gloria, di orgoglio, di dominazione che ancora fu caro agli ultimi dittatori europei del secolo scorso, ma soltanto come sinonimo di economia, di profitto, di vendita, di sfruttamento.
Il talebano cattivo è il nemico di turno ideale.
L’Iraq vittorioso assomiglia sempre di più al Vietnam di quaranta anni fa e l’Afghanistan è allo stremo dopo oltre 30 anni di invasioni che hanno visto le due superpotenze su fronti opposti secondo la (il)logica seguente: chi finanziava le munizioni ieri, oggi è quello che le spara.
I missili teleguidati dell’Homo Democraticus uccidono a distanza donne e bambini e distruggono villaggi perché, per costruirne dei nuovi, bisogna prima esaurire le scorte in eccesso.
La tecnologia ha reso l’Homo Democraticus codardo e meschino combattendo di nascosto per non rischiare la pelle, quasi a volersi vergognare delle menzogne che racconta per perpetrare il massacro.

ALESSANDRO BAVELLONI

mercoledì 5 gennaio 2011

Pippo Fava: Ricordo indelebile

Ventisette anni fa, lo scrittore e più importante giornalista contro la mafia, Giuseppe Fava, detto Pippo, veniva ucciso a colpi d'arma da fuoco dalle mani di Cosa nostra nella città di Catania, dove svolgeva il ruolo di direttore del periodico I Siciliani, ove, con la sua penna audace, non risparmiava critiche, descrivendo fatti, formandodo ipotesi e prove sull'espandersi del potere mafioso nella città, che ai tempi veniva definita quasi un'oasi di pace, in cui l'impronta della mafia stessa (alcuni sostenevano) era completamente assente.
"LaVoce Quotidiana" non dimentica il suo esempio etico di giornalismo, il suo impegno e coraggio morale, il suo bel volto espressivo siciliano di uomo onesto, che non è mai sceso a compromessi, anzi, li ha sempre aspramente rigettati al mittente. Un signore che ha lasciato sui propri passi un'impronta significativa raccolta da non poche persone.
Un giornalista nel vero senso del termine, che svolgeva il proprio mestiere con passione e dedizione assoluta, essendo egli stesso l'esempio chiaro e spontaneo di uomo professionale, il cui lavoro lo ha sempre dedicato al servizio del lettore. Un uomo che sapeva i rischi che correva nello scrivere dettagliatamente di mafia nei suoi articoli e durante gli interventi pubblici. Un uomo che nonostante la paura, ha perseverato ostinatamente verso la direzione che più gli sembrava giusta e corretta da percorrere. Un uomo onesto, responsabile, a cui è stata tappata la bocca per sempre. Che ha lasciato e lascia tutt'ora un vuoto indelebile a noi giovani che forse, se oggi fosse ancora qui insieme a noi, potremo avere come punto di riferimento. Un uomo colto che aveva capito tutto in anticipo sulla mafia. Un uomo scaltro ed arguto. Un vero intellettuale, oltre che giornalista. Giuseppe Fava che lascia un bell'esempio a noi tutti, patrimonio di comportamento civile e onesto che ha lasciato un ricordo indelebile nel tempo.

Il mito del lavoro

Otto ore al giorno per cinque giorni alla settimana. Uno stipendio mensile pari alla media di 1.000 euro se tutto va bene. Un affitto da pagare non meno di 700 euro se si vive nelle grandi città, in periferia naturalmente. Dei restanti 300, una parte consistente verrà impiegata per la spesa per poter campare, e per eventuali imprevisti quali visite mediche. Un ambiente lavorativo da semplice impiegato, simile a una giungla, o ancor peggio, ad un lager, dove si devono fare i conti con l'invidia e la competizione dei colleghi più stupidi. Dove potrai assistere alla visione di persone che andranno avanti e che ti scavalcheranno grazie a raccomandazioni e non per meriti etico-professionali, in cui non potrai fare nulla perché non hai prove per accusare, e quindi incasserai il colpo, starai zitto e a testa bassa, chino su te stesso e quasi gobbo, sarai costretto col ricatto ad amplificare l'omertà, essenso tu stesso il classico schiavo di turno.
Tutto questo, rappresenta il lavoro standard, che è l'esempio lampante dello sfruttamento ai danni del cittadino in cui il mesiere è estinto e dove il mito del lavoro imperversa su tutto. Sulla tua vita a cui non dedichi più tempo. Sulle tue passioni. Sulle tue amicizie. Sui tuoi amori e sulle tue esigenze personali.
Sei costretto a lavorare per vivere, quindi ti trovi in una sorta di incubo di sopravvivenza non tanto differente da un lager nazista. Una buona fetta dei politici siedono sui banchi del parlamento per corrompere, ricattare e inciuciare, e danneggiando l'elettore cittadino, facendo in modo di farsi strapagare da egli stesso, quando invece meriterebbero di finire sotto i lavori forzati, quanto ai banchieri più spregiudicati quindi usurai, quanto ai responsabili di amministrazioni ed enti pubblici giunti a quelle posizioni grazie ad amicizie influenti.
Se l'intera popolazione italiana disertasse per tre mesi di seguito l'ambiente di lavoro, come segno di protesta, la classe dirigente, che vive grazie ad essa, si chinerebbe a chiedere scusa e renderebbe migliore il costo della vita e l'ambiente lavorativo in generale.
Perché coi tempi che corrono, se un affitto costa non meno di 700 euro, lo stipendio dovrebbe essere minimo di 3.500, e le ore lavorative giornaliere non più di cinnque, per, al massimo quattro giorni. Un modo questo, per combattere davvero la disoccupazione, e per lasciare tempo da vivere e dar fitao al cittadino comune. Il lavoro nobilita l'uomo? Beh, allora si constribuisca a renderlo umano il più possibile. Questa è una ipoteica soluzione.

La sinistra odierna

Con questo tipo di sistema, in cui è inclusa la legge elettorale odierna, le eventuali elezioni politiche potrebbero decretare la vittoria ipotetica del nuovo centro sinistra composto da Pd, Sinistra e libertà, e Italia dei valori. Questo fatto potrebbe portare gravi conseguenze, e anche peggiori rispetto all'esecutivo rappresentato da Berlusconi, sul piano etico e morale non solo istituzionale, ma anche e soprattutto sociale.
Perché le classi dirigenti di questi partiti, sono composte dalle solite facce che si affacciano sulla scena politica da oltre vent'anni. Una classe dirigente che ha fallito ripetutamente, che ha causato danni enormi alla magistratura durante i cinque anni di governo Ulivo quando, tra diversi provvedimenti legislativi oltraggiosi per quanto riguarda il tema della lotta alla criminalità organizzata, diminuirono le scorte ai magistrati, depenalizzarono il carcere duro per i mafiosi, chiusero le super carceri di Pianosa e L'Asinara. Un ipotetico nuovo governo presieduto dai Bersani, dai D'Alema, dai Weltroni, Pollastini, Bindi e Vendola di turno, arrecherebbe altrettanti danni all'intera popolazione. Se un personaggio, quale Anna Finocchiaro, dovesse sedere la poltrona di un incarico di rilievo istituzionale e governativo, sarebbe la ciliegina sulla torta. Perchè la Finocchiaro non è persona adatta non solo per rappresentare un' alta carica istituzionale, ma nemmeno parlamentare, regionale, comunale e provinciale. E' una donna (si fa per dire) nervosa, ambigua e incattivita, che col suo femminismo post sessantottino, con la scusa di difendere l'universo femminile, rovina a maggior ragione la figura delle donne stesse, quelle libere ( nel senso che del femminismo e del maschilismo non gliene frega niente,perché badano al merito e alla persona singola). Una persona maschilista e/o femminista nutre un sentimento di odio verso il sesso opposto. E' classista, agisce per partito preso,e in questo caso sarebbe molto ma molto peggio di Berlusconi in sé.
Perché nonostante tutto, Berlusconi insulta e offende in presa diretta, mettendoci la faccia, la Finocchiaro agisce defilandosi, stando nascosta, mentre in pubblico racconta sempre la solita storiella delle pari opportunità, dell'ingiustizia che incombe e via discorrendo. Una ragazza come Chiara Moroni, non solo sarebbe meno innocua della Finocchiaro, ma in materia di etica saprebbe fare qualcosa di concreto. Angela Napoli lo stesso. Un governo guidato dalla sinistra odierna farebbe paura perché quegli elementi rappresentano lo snobbismo sinistroide radical chic, non essendo per nulla il proseguimento di Nenni, Pertini o Lombardi, ma solo un groviglio di ricchi figli di papà che negli anni '70 giocavano a fare i comunistelli della situazione, rovinando l'immagine di quelli veri e quantomeno spontanei come Pietro Ingrao, Palmiro Togliatti, e Giuseppe Di Vittorio, che nella loro vita avevano conosciuto la fame e la dittatura,  non i salotti borghesi della Roma e Milano bene, di Porta a Porta, Ballarò e Matrix. Una sinistra, quella odierna, che ai tempi, contribuì a isolare il giudice Giovanni Falcone solo perché non gradiva le sue scelte personali, per poi celebrarlo post mortem. Una sinistra che più global di così non si può, perché codesta, essendo progressista e modernista, va a manifestare sì contro il G8, ma nella sostanza è artefice e difensitrice a spada tratta dell'intero sistema globale. Una sinistra odierna, che se avesse un leader con le stesse disponibilità economiche che possiede il Presidente del Consiglio, farebbe peggio e molti più danni.
Proprio per questo, la società civile, quella che non si riconosce in alcun partito, (e ce ne sono molti)dovrebbe raggrupparsi e formare una serie di liste civiche e proporsi alle elezioni, in modo tale da spazzare via una intera classe dirigente falsa, ingiusta e fallita.

martedì 4 gennaio 2011

Nella televisione italiana

Sono convinto, ovviamente nel mio piccolo, che la mia generezione, quella nata nel 1980/81, possa affermare che, se cresciuta con l'ausilio della televisione, possa sostenere quanto quest'ultima fosse (all'epoca) uno strumento educativo e interessante, e che abbia contribuito, anche se in parte, a sviluppare un linguaggio decoroso.
La tv dell'epoca, tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, trasmetteva non solo bei programmi, ma anche un numero elevato di film, notevolmente belli. E non parlo solamente della televisione di Stato, la Rai, ma anche dell'allora Fininvest, oggi Mediaset. Il neetwork berlusconiano per tre diverse stagioni, trasmise la serie televisiva I ragazzi della terza C, un telefilm che ha divertito intere generazioni, divenendo a suo volta un cult. Ha trasmesso inoltre Happy Days, Don Tonino col duo Gigi e Andrea che all'epoca erano divertenti e che appassionavano il telespettatore con le loro celebri gag. Per non parlare di Chiara e gli altri con Alessandro Haber e Ottavia Piccolo, che era tutt'altro che volgare, rappresentando la classica famiglia media italiana, coi rispettivi problemi da affrontare nella società. Trovo che fossero diseducativi programmi quali Drive in, o la serie tv interpretata da Cristina D'Avena Kiss me Licia, pacchiana e abominevole trasportazione del celebre e orrendo cartone animato che all'epoca calcava il palinsesto televisivo. I pomeriggi in più, erano dedicati alla messa in onda di cartoni animati decenti, e non come adesso dei deliri degli ospiti delle trasmissioni di Maria De Filippi su Canale 5 e di Monica Setta su Rai2, trasmissioni dedite a rincoglionire gli spettatori e a confondere i più piccoli che, si sa, a quell'orario sono davanti al video che assorbono gli scleri e le cazzate dei conduttori e degli stessi ospiti in studio. La Rai trasmetteva trasmissioni di approfondimento giornalistico a cura di giornalisti quali Gianni Minà, Sergio Zavoli ed Enzo Biagi, e a sua volta la Fininvest faceva la stessa cosa con Giorgio Bocca e Guglielmo Zucconi. La sera, alle 20,30 venivano trasmessi bellissimi film, e persino alle 22,30 o alle 23,00. Non eravamo contaminati dal virus del batti e ribatti dei politici in trasmissioni come BallaròMatrix, dove i conduttori non sono altro che inermi leccapiedi al cospetto del potente politico di turno. Il venerdì sera, su Rai1, venivano trasmessi film/cartoni animati della Dysney nella rassegna Cinema insieme, altre volte, una volta alla settimana ,si rendeva omaggio a un grande regista italiano in cui veniva trasmesso uno dei suoi film per un certo periodo di tempo. Sulla Fininvest, Maurizio Seymandy conduceva una rubrica cinematografica dal titolo Cinema é. Su Telemontecarlo, Red Ronny, che non è certo un genio, ma quantomeno capisce qualcosa in materia musicale, conduceva quotidianamente il programma Help, in cui offriva la possibilità a gruppi e cantautori emergenti, di eseibirsi in televisione per farsi notare dal pubblico e dalle case discografiche. La Rai produceva e trasmetteva sceneggiati quali Pinocchio di Luigi Comencini, e sempre dello stesso regista, Cuore, tratto dall'omonimo libro dello scrittore torinese Edmondo De Amicis. Nel 1989 venne trasmesso il film tv I promessi sposi di Salvatore Nocita, con un grande Alberto Sordi, stabilendo un momento alto come grado di cultura che riguardava la televisione di Stato.
Oggi invece ci troviamo di fronte a messe in onda di trasmissioni pomeridiane in cui si parla di incesto, tradimenti, chirurgia plastica, depressione, cambio di sesso, senza pensare che a quell'ora, millioni di bambini ingenui, seguono la televisione che confonde e deturpa il loro cammino. Se un tempo al pomeriggio trasmettevano L'albero azzurro e Bim bum bam, oggi ci sono Pomeriggio sul due e Pomeriggio cinque, simboli di giornalismo (si fa per dire) di stampo suicida assassino nei confronti delle fasce meno acculturate. Se un tempo noi ragazzini ridevamo alle battute dei film dei grandi e indimenticabili Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, e di Bud Spencer e Terence Hill, oggi si deve fare i conti coi cinepanettoni cazzari, volgari dediti a un pubblico ignorante e analfabeta che ci costringe a subirne la messa in onda, che già di per sé è un affronto alla dignità dell'uomo. Erano di gran lunga molto meglio i film di Renzo Montagnani, Lino Banfi e Alvaro Vitali, che quantomeno avevano una storia in sé e offrivano battute che facevano ridere.
Oggi invece, ci ritroviamo problemi da neurodeliri al pomeriggio, giustificazioni per aver contribuito a rovinare il nostro Paese da politici quali Fassino e Bondi la sera, Bruno Vespa che si diverte e si eccita in studio per non fare nulla, Giovanni Floris che con il suo sorrisino buonista lo mette nel posto a tutti quanti, Alessio Vinci che si commenta da solo e il peggio, del peggio sempre peggio...
Si stava meglio quando si stava peggio non è poi così una frase fatta tanto per dire...

La Nera Signora

La morte

E diventato assai difficile e raro sentire pronunciare la parola "morte" riguardo una persona che ha perso la vita. Sia in televisione, che sulla carta stampata, che fra comuni cittadini. La parola in sè, (usata fino a pochi anni fa), è stata soppressa a favore di scomparsa, è venuto a mancare, se n'é andato. La "morte" non deve e non può essere pronunciata, anche se a conti fatti, è la parola più appropriata e adeguata nei riguardi di un individuo che non è più presente nel mondo terreno.
Probabilmente questo fatto è dovuto alla paura d'invecchiare che imperversa nell'odierna società moderna che da in pasto all'opinione pubblica il mito del giovanilismo, della paura della vecchiaia, quindi, di conseguenza, della morte stessa. Un esempio lampante lo si ha parlando a proposito di Fabrizio De Andrè, che di morte ha scritto e cantato soprattutto durante i primi anni di carriera, che poi sono i migliori di tutta la sua discografia. Nonostante gli si dedichino serate, concerti e incontri per studiarne la personalità, è difficile sentir parlare o eseguire brani di De Andrè in cui la Nera Signora è parte fondamentale. Canzoni quali Leggenda di Natale, Cantico dei drogati, Inverno, La ballata dell'eroe, vengono quasi sempre ignorati a favore di Volta la carta, Se ti tagliassero a pezzetti, Coda di lupo, che rappresentano il lato meno creativo del cantautore che fortunatamente, negli ultimi anni di vita ricominciò a riacquistare.
La morte no signore, non può essere pronunciata. E' un eresia. Non esiste per alcuni. E invece no, esiste eccome, ed è la cruda realtà che fa parte di un ciclo, quello della vita. E' parte di un fiore che attraverso il seme cresce, germoglia, appassisce e poi muore per il tempo dell'età che avanza. La morte, come la nascita, è parte di un contesto, di una stagione fatta di piccole stagioni, che può terminare dopo aver chiuso e concluso un cerchio, oppure si ferma prematuramente per il destino cinico e reale che ci attende da un momento con l'altro. La morte è la fine triste della partita come cantava saggiamente Francesco Guccini in uno dei suoi testi più intensi "Lettera". E chi non accetta questo verdetto, compreso il termine stesso (ossia morte), non rispetta se stesso, perché facendo parte della vita, la morte è dentro di noi, che prima o poi ci coglie di sorpresa e ci porta via, chissà dove, chissà quando e chissà ancora...
La nascita e la morte sono la stessa faccia della medaglia, fra cui in mezzo c'è il vissuto, le stagioni nella stagione, il contenuto di un racconto, ossia la vita. Una sorta di equazione.
Con la sostituzione di morte a favore di scomparsa, si è compiuta un'operazione analoga che riguarda il termine vecchiaia, sostituito con terza età. Invece la vecchiaia, come la morte, esiste, e prima o poi arriverà a noi come stagione di autunno/inverno, che ci condurrà in un eterno letargo.
Se non si accettano queste piccoli fasi della vita, non avremo mai e poi mai rispetto di noi stessi, della nostra vita e di quella altrui, e non potremo mai comprendere appieno quali siano davvero i piaceri veri della vita....
...Oltre la moda c'è di più...

Ritratti: Roberto Benigni

Roberto Benigni da un po' di anni a questa parte vive di rendita. E' da La vita è bella che non tira fuori un film quantomeno scorribile agli occhi del telespettatore. Il suo Pinocchio del 2002, non è solo un film brutto e noioso, ma nonostante l'assidua pubblicità che gli è stata fatta, avrebbe dovuto eguagliare (come bellezza) almeno quello di Luigi Comencini del 1972. Con La tigre e la neve, 2005, si è avuta conferma della perdita d'ispirazioneche che da diverso tempo lo affligge, in quanto la pellicola in sé non ha nulla da invidiare a un discreto film del trio Aldo, Giovanni e Giacomo. Proprio per questo, conscio dei propri limiti, Benigni ha deciso di spiegare la Divina Commedia nei teatri, e apparire qua e là in programmi televisivi di successo quali il Festival di Sanremo e Vieni via con me, dove recita il solito, scontato (anche se studiato bene) monologo in cui prende in giro in parte il Cavaliere. Qualche anno fa, partcecipò addirittura alla festa nazionale dell'Udeur di Mastella, dove quest'ultimo propose di nominarlo addirittura Senatore a vita. I giornalisti e scrittori Andrea Scanzi e Massimo Fini, in due articoli diversi su Roberto Benigni, hanno sostenuto che come comico non morda più, infatti è proprio per questo che è adulato dalla politica in modo by partisan. Se la sua, fosse una voce fuori dal coro, che raccontasse verità scottanti (e non scontate), la televisione se la sognerebbe. Invece riceve proposte su proposte e millioni di euro per le sue rare apparizioni, in diretta ovviamente, perchè i suoi monologhi non hanno bisogno di tagli e censure, in quanto non toccano nessun potente di turno nello specifico, in quanto li sfiora solamente, stramppando addirittura una timida risata pure a loro.
E' uno come Daniele Luttazzi che nei suoi monologhi è tagliente, mai morbido e che non risparmia nessuno, infatti la televisione (soprattutto quella di Stato) se la scorda da anni. E per aver parlato di mafia durante la trasmissione Satyrycon, che nel 2001 andava in onda su Rai2 e che egli stesso conduceva, ricevette minacce, pedinamenti, e gli fu perfino messo il telefono sotto controllo.
Roberto Benigni è politicizzato e anche troppo. Facendo da spalla al Pd, in un modo o nell'altro gode di una copertura politica che non gli impedisce certo popolarità e spazio televisivo (i partiti politici controllano la tv di Stato e hanno le mani in pasta ovunque). Causa ulteriore della sua caduta artistica e personale, è il fatto di ostinarsi a far recitare nei suoi film la moglie Nicoletta Braschi, donna priva di grazia e istinto recitativo, in quanto persona fredda, glaciale, che non lascia alcuna emozione.
Era molto meglio il Benigni de Il piccolo diavolo, de Il mostro, di Johnny Stecchino, quando faceva ridere ed era certo più tagliente rispetto ad oggi, che, con la prerogativa di voler a tutti i costi fare l'impegnato e l'intellettuale, si è ritrovato orfano della sua anima spontanea e genuina di toscano quel è.
Si dice di lui che sia diventato una persona triste e piena di manie, cosa probabilmente dovuta al fatto  di aver abbandonato la sua vera e umile personalità, per abbracciare il successo globale e calcare palcoscenici internazionali, divenendo complice dei giochi di potere della politica.
Purtroppo ogni scelta ha un prezzo, specialmente quelle più delicate, perciò se da una parte egli ha deciso di abbandonare se stesso per diventare una star, lo strasuccesso gli ha succhiato l'anima e la verve entusiasmante che, si nota benissimo, non è più quella di un tempo.
Ma non è mai troppo tardi, è possibile anche un ritorno ai propri passi. Chissà...Mai dire mai.