venerdì 12 novembre 2010

Fabrizio De Andrè: lasciatelo riposare


Negli ultimi anni sembra quasi una moda dedicare serate, concerti, dibattiti e cover band al compianto Fabrizio De Andrè. Fin qui nulla di strano, se non che queste cose accadono sempre dopo che si è morti, mentre quando si è ancora in vita, tutto questo non accade.
Ma la cosa che mi ha colpito di più, o più semplicemente, che più di tutte mi ha fatto indignare, è stata la serata tributo che Fabio Fazio assieme alla moglie del cantautore, Dori Ghezzi, hanno dedicato in prima serata su Raitre per commemorare i dieci anni della sua morte, dal titolo “Che tempo che fa: speciale De Andrè”.
Di lui si è parlato di tutto fuorchè del suo pensiero, si sapeva quando andava a dormire, quasi all’alba, e quando si alzava, in tada mattinata. Come fosse dedito alla cucina, quanto amore provasse per la sua ultima compagna, ma dei suoi pensieri, dello stile di vita, e del contenuto profondo delle sue canzoni, il nulla.
Gli ospiti principali erano cantanti che eseguivano un pezzo di Fabrizio a turno, dopodichè dopo un piccolo scambio di semplici parole di circostanza coi conduttori, prendeva e se ne andava. L’atmosfera era fredda, e anche l’esecuzione di quasi tutti i brani interpretati. Probabilmente perché la maggior parte degli invitati non avevano nemmeno conosciuto il commemorato sia come persona, sia nelle canzoni. Gli ospiti per la maggior parte, non centravano proprio niente.
Sì, perché tra loro, non vi era lo straccio di un Paolo Villaggio, amico fraterno di Fabrizio dai tempi dell’infanzia, i New Trolls, Beppe Grillo, De Gregori, Guccini; Paoli, Baccini, per non parlare dei tanti altri colleghi del Club Tenco.
In compenso, abbiamo trovato Jovanotti, in collegamento dal cimitero di Spoon river che ha eseguito in malomodo e con diverse stonature “Il suonatore Jones”. Andrea Bocelli, che è riuscito pienamente a rovinare un brano d’antologia, quale “La canzone dell’amor perduto”, e colpo di scena, Tiziano Ferro, che con “Le passanti” ha completato il cerchio.
Pareva di assistere a una tortura con l’intenzione di capovolgere e manipolare la persona di De Andrè, in cui il celebrato, più che il cantautore sembrava essere proprio Fazio, cui si è sempre spacciato come grande amico. Peccato però, non aver mai sentito citare da De Andrè stesso il nome di Fazio nelle, anche se rare, interviste che aveva lasciato nell’arco della sua carriera.
Facile parlare di una persona che non ha la possibilità di replicare e contraddire al riguardo.
Il fatto poi che Fabio Fazio consideri De Andrè un idolo, storpia di non poco la figura del cantautore. Per quale motivo? Semplice, perché così facendo uno che prende alla lettera questa affermazione ed è troppo piccolo per aver conosciuto De Andrè ancora in vita, può pensare che il pensiero, il comportamentii, lo stile di vita e i pensieri di quest’ultimo siano gli stessi del presentatore.
Fazio infatti, più che discepolo di De Andrè, pare più un “Don Abbondio” de sinistra, che vive col terrore di una battuta di troppo nel suo programma contro quel politico o potente di turno, per vedersi tagliare la sua trasmissione. E’ una persona che quindi vive costantemente col potere.
De Andrè era l’antitesi, perché ne era allergico. Anima profondamente fragile, sensibile e tormentata (era riuscito a disintossicarsi dopo essere stato a lungo alcolista). Come lo descrisse l’amico di sempre Paolo Villaggio: “non era ombroso, ma un cialtrone di una simpatia assoluta”,  significa che non voleva impersonare la figura dell’intellettuale, cui invece molti nella sinistra intendono inglobare dalla loro parte. Era un anarchico, era il cantautore dei suicidi, dei tossici, delle puttane (con le quali si frequentava in gioventù) dei malati, dei soli, e dei più disperati soggeti deboli sulla faccia della terra, ma soprattutto della morte.
Era uno che cominciò a suonare e cantare per conquistare le ragazze, si potrebbe dire bonariamente “un simpatico cazzone” che probabilmente si stupì di se stesso nel comprendere che quella musicale, fosse la sua strada, battuta in modo ineccepibile, al punto da scoprirsi poeta.
Ci sembra quasi esserci dimenticati dei brani scritti quando ancora viveva a Genova, prima di lasciarla per la Sardegna e Milano. Su tutte “Cantico dei drogati”, “La ballata dell’eroe”, “Primavera in gennaio”, “Leggenda di Natale” per citare alcuni brani.
Da agnostico che sono, perciò che vive nel dubbio, mi viene da sperare che nell’aldilà ci sia il nulla  e sperare che De Andrè non possa assistere ai tentativi di capovolgimento del suo essere, e mi rincuore il fatto che si sia fatto cremare, altrimenti penso proprio che si rivolterebbe nella tomba.
Che riposi in pace.

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