sabato 13 novembre 2010

Outlet "lager"

 

“Cos’è un lager?”, cantava Francesco Guccini nel 1981, riferendosi non solo ai campi di sterminio, ma anche alle fabbriche e ai ghetti delle città. Sono passati quasi trent’anni dalla stesura di quella canzone e che cosa è cambiato? Nulla, perché questi lager si sono ulteriormente estesi, ed ora ci stanno completamente circondando, distruggendo il paesaggio, la natura dell’Italia e di conseguenza noi stessi. Ma ci sono delle new entry  a far parte del contenitore, che all’epoca della canzone ancora non c’erano, e non erano stati costruiti, sono i lager per eccellenza del circuito globale: gli outlet. Ma partiamo per ordine, prima di tutto vediamo cosa è successo alle cosiddette città, una su tutte Milano.
Milano è una discreta città con una storia alle spalle, ricordo che da adolescente assieme agli amici la percorrevo in lungo e in largo a piedi, e zone del centro come Corso Magenta, la Galleria del Corso e Porta Romana erano tra le nostre tappe predilette. Oggi non è più così, in centro ci vado poco, causa l’intenso traffico stradale, che per uno che abita in periferia come me non è certo d’aiuto. Già la periferia, che nacque ai bordi della città fuori dalla circonvallazione esterna, per poi espandersi sempre più fino a far nascere intere città quartiere, abbattendo le cascine che c’erano per dar vita alla costruzione dei classici quartieri ghetto, con le sue case popolari. Parlo di Rozzano, Paderno Dugnano,  Corsico, e Buccinasco per fare alcuni esempi. In questi paesi, la criminalità organizzata ha avuto terreno fertile per radicarsi bene nel territorio, cosicché questi ultimi citati sono oggi sotto lo stretto controllo della stessa.
Interi grattacieli di case popolari sovrastano il territorio e sembra di trovarsi in un film di Spike Lee dove, la delinquenza imperversa, l’omertà è un obbligo, il benessere un’utopia, e la speranza, quella di fuggirne via il prima possibile. La differenza tra questi paesi e la città vera e propria, anche se distano pochi chilometri, è abissale, tant’è che sembra di trovarsi in un altro mondo. In quelle periferie si parla un’altra lingua, il modo di porsi è completamente differente, così come gli usi e i costumi, ma non solo. Se abitiamo nella città in sè, scendiamo sotto casa trovando tutto a portata di mano e a qualsiasi ora (tranne che la notte ovviamente). Abbiamo il panettiere sotto casa col quale scambiamo due parole perché lo si conosce da una vita, così come il tabaccaio, in più vi troviamo diverse librerie e negozi vari. In periferia,  sotto casa, non abbiamo niente di tutto questo, solo centri commerciali, blocchi di cemento grigio con insegne luminose posti l’uno attaccato all’altro ai lati di una superstrada. E’ qui che si va a far spesa, è qui che al sabato le strade si intasano per potervi far tappa a far shopping. Tutti ammassati, persone che senz’anima varcano l’accesso a questi ambienti freddi e vuoti, spazi aperti che in realtà sono claustrofobici, è infatti  frequente che in questi luoghi ci si imbatta in un attacco di panico, data la frenesia della gente, dalle facce tristi e tirate, dalla velocità e della fretta di prendere un capo e fare la fila alla cassa.
Gli outlet invece sono delle intere città situate nell’hinterland di esse. Assomigliano come struttura a dei parchi divertimento come Gardaland o Mirabilandia, solo che oltre alle attrazioni sono fornite di numerosi negozi per lo shopping. Tutto è curato nei minimi dettagli a servizio del consumatore, si possono persino lasciare i bambini in appositi baby garden, in mano a baby sitter sconosciute in modo tale da poter, con calma, guardare le vetrine. Ci sono anche dei pullman che portano in questi luoghi. In questi complessi troviamo perciò anche attrazioni per bambini , che come abbiamo detto vengono osservati costantemente mentre i genitori fanno spesa, oltre a ristoranti e parchi. Questo è il lager per eccellenza, dove le persone più che racchiuse sono rinchiuse in un’area ristretta in cui ammassati si va, si compra, e si consuma. L’apoteosi del capitalismo globale in cui l’ex cittadino, diviene consumatore e merce allo stesso tempo. Certo, a differenza dei lager nazisti non si viene portati con la forza e la zona non è neppure circondata dal filo spinato, ma è pur sempre una trappola bella e buona, perché ciò comporta  lo sviluppo della realtà virtuale, visto che gli outlet sono privi di radici. Una città infatti, ha dei monumenti  e delle case con una storia, mentre quegli edifici “fantasma”, sanno di vuoto, di finto, rendendo l’uomo privo di storia e cultura.
Un qualcosa di artificiale che ha a che fare con quella che è la musica da discoteca; che in se per sé non è musica. La musica è composta da strumenti musicali, e non dai computer come la dance, la tecno, e la house, che in concreto sono solo suoni.
Si sta creando un universo artificiale in cui, purtroppo, siamo costretti a vivere. Accadrà che anche l’anima farà questo ulteriore passo, o forse  lo sta già facendo? E se così fosse, vuol significare che il lager si sta sviluppando anche dentro di noi?

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