venerdì 12 novembre 2010

La fine delle ideologie : vincitori e vinti


E' la notte tra l'8 e il 9 novembre 1989, cambia la storia.
Il muro di Berlino crolla, portandosi con sè ideologie e sistemi che avevano caratterizzato buona parte del Novecento, spalancando le porte al cambiamento sul piano politico ed economico, su tutto il versante mondiale, favorendo così il libero mercato e la globalizzazione.
Ci si è ritrovati a dover assistere alla fine del comunismo nei paesi dell'est europeo, dellla sgretolazione dell'URSSS,e in Italia, all'addio del più grande partito comunista d'occidente, il vecchio PCI.
Nei giorni postumi la caduta del muro, il segretario del partito comunista italiano Achille Occhetto, si presenta in una sezione del quartiere "La bolognina" di Bologna, in occasione della celebrazione per i partigiani della città, e durante il suo discorso sostiene che per il PCI, fosse indispensabile sostituire il nome in base ai cambiamenti che di lì a poco sarebbero accaduti, bisognava dunque dare una svolta.
Dopo questa dichiarazione, nelle varie sezioni di partito su tutto il territorio nazionale, scoppiò la protesta di numerosi militanti che esprimevano il proprio malcontento per non essere stati informati in anticipo sulla scelta improvvisa di Occhetto. Se si leggono i giornali di allora, oppure l'interessante saggio scritto da Luca Telese "Qualcuno era comunista", si viene a conoscenza delle furiose contestazioni che i militanti rivolsero a esponenti del partito tra cui Luciano Lama e Nilde Iotti, che furono contestati vivamente.
Tenuti all'oscuro della dichiarazione del segretario, lo storico leader della corrente sinistra interna, Pietro Ingrao, che al momento della dichiarazione si trovava all'estero, e il presidente del partito Alessandro Natta, che un anno prima, a causa di un infarto che lo colpì, vene fatto da parte come segretario e scavalcato da Occhetto. Da lì a poco cominciarono dibattiti e scontri animati tra il fronte del no, che non voleva il cambiamento del nome, e quello del sì che invece era favorevole. Quello del no faceva capo a Ingrao e Cossutta, che però presentarono mozioni differenti al congresso di Rimini del gennaio 1991 decisivo per la scelta del cambiamento o meno, mentre quello del sì con a capo Occhetto e i suoi, che perlopiù rappresentava la nuova classe dirigente del partito.
Due anni di accesi dibattiti prima del congresso decisivo, in cui il PCI nel frattempo perde lungo il suo cammino una voce emblematica e amata non tanto dalla classe dirigente ma dagli iscritti, Giancarlo Pajetta, il quale si sarebbe battuto affinché il suo tanto amato partito restasse tale. Due anni in cui alcuini matrimoni andarono letteralmente in crisi, a volte persino divorziando a causa della spaccatura dei coniugi tra il no e il si. La storia ci racconta come andarono i fatti:
al congresso di Rimini il fronte del no perde a dispetto del sì. Il partito cambia nome in PDS (partito democratico della sinistra) nel cui nuovo logo la falce e il martello con la scritta PCI viene rimpicciolita, e messa in risalto l'immagine di una quercia.
Col PDS si apre la strada alla nuova generazione dei quarantenni, che di lì a poco saranno e sono tutt'ora protagonisti sulla scena politica, su tutti Massimo D'Alema (che diverrà il segretario del partito stesso tre anni dopo, succeduto a Occhetto), Piero Fassino e Walter Veltroni .
Dall'altra parte, il fronte perdente del no decide di costituire il movimento per la rifondazione comunista, poi PRC (partito della rifondazione comunista), cui aderirono Pietro Ingrao, Armando Cossutta, Sergio Garavini, Lucio Libertini, ma a esclusione di Alessandro Natta, che pur aderendo al fronte del no, decise di non appoggiare nessuno dei nuovi due partiti. Non solo. Con una lettera al Presidente della Camera dei Deputati di allora, Nilde Iotti, chiedeva al Parlamento di votare a favore della sua scelta di uscirne, descrivendosi oramai sfiduciato nei confronti della classe politica di allora. Si perde così una delle figure più importanti dell'ormai vecchio PCI, che decise di ritirarsi a vita privata, tornando a vivere nella città natale, Imperia, fino alla morte sopraggiunta nel 2001.
Altri del fronte del no, come ad esempio Antonio Bassolino, e Aldo Tortorella confluirono ugualmente nel neonato PDS, anche se quest'ultimo a seguito della scelta del governo presieduto da Dalema nel 1999 di aderire alla guerra in Kossovo, con una lettera scritta all'allora segretario Walter Veltroni, manifestò la scelta di uscire dal partito.
Da lì in poi il PDS diventerà DS (democratici di sinistra, sotto la guida di D'Alema), per poi cosituire nel 2007, assieme ad altre forze politiche tra i quali La Margherita, il partito democratico, creando anche dissociazioni della sinistra interna del partito che decise di non appoggiare il progetto.
D'altro canto da rifondazione, si stacca una parte, che nel 1998 darà vita al partito dei comunisti italiani, col risultato che oggi, da una parte abbiamo la Federaione della sinistra, con PRC e PdCI tornati assieme, dall'altra il movimento Sinistra ecologia e libertà, in cui Nichi Vendola, ingraniano all'epoca della svolta della bolognina e militante fin da giovane nel vecchio PCI, è il leader per eccellenza.
Abbiamo assistito negli anni alla sgretolazione lenta e agonizzante del vecchio PCI, iniziata nel 1991, e conclusasi definitivamente nel 2007, cui rimangono le ceneri e la storia. Ma anche la tenacia e il coraggio di chi ha lottato per tenerlo in saldo, come Pietro Ingrao e Alessandro Natta su tutti, che hanno l'onere di aver messo la faccia e la consapevolezza della sconfitta.
Una partita persa per la coerenza delle proprie idee, senza mai venir meno ai principi coi quali hanno dedicato alla propria vita. Perciò, onore ai vinti.

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