venerdì 24 dicembre 2010

Cronaca di una strage annunciata

Avrei voluto scrivere una breve cronaca di una giornata di assemblea, mi ritrovo a scrivere di un uomo.
Anzi, di due.
In una Bologna infreddolita di un sabato di dicembre in un’aula universitaria.
Cappellino nero calcato, visiera calata a coprirne quasi l’intero volto, non degna di uno sguardo la platea, mastica nervosamente e tiene in bocca sigarette spente che non può accendere.
Massimo Fini ha una brutta fama perchè incute timore dicendo e scrivendo, da sempre, esattamente quello che pensa. E anche perché ha un caratteraccio che rasenta la misoginia.
Dopo oltre 5 ore di assemblea non ha ancora aperto bocca: è una sfinge. Calamita l’attenzione di tutti restandosene zitto, senza mai guardare i compagni di banco e senza applaudire nessun intervento. A tratti viene raggiunto da qualche fedelissimo, parlotta, si alza, ritorna al suo posto, defilato sul lato destro.
Si intuisce che la bomba a orologeria è innescata e che l’incedere della strage è già sul punto di non ritorno. Sono passate le 15,30 e, dopo un intervento di Giulietto Chiesa a sostegno della Costituzione Italiana, entra in scena il fuoriclasse, il Massimo Fini che non ti aspetti.
Anzi sì.
Il provocatore consapevole, sottile, che inocula il germe del dubbio anche in chi ritiene di avere certezze granitiche. Che è poi una delle caratteristiche dei fuoriclasse.
La platea esplode, si indigna e plaude, si divide e si riunisce ma nessuno fugge per lo sdegno. Si resta seduti anche dopo la strage, dopo la carneficina annunciata: si sapeva di andare incontro al massacro.
Ci pensa Maurizio Pallante, bravissimo, a calmare gli animi e ricompattare il gruppo Uniti e Diversi: prima di arrivare qui non credevo a questo slogan ma ora ho visto che può funzionare.
Massimo Fini vuole creare un partito uscendo dalla Costituzione: forse lo sapevamo già ma è come se lo ascoltassimo per la prima volta.
E forse non lo volevamo ascoltare: anche in questo sta la grandezza di un fuoriclasse.
Non ama le etichette, non ama le appartenenze sociali (figurarsi quelle politiche) e non ama paragoni.
Ma Massimo Fini ha proseguito il cammino di Indro Montanelli in quell’avanguardismo anarcoide che l’estrazione liberale non consentiva al grande vecchio toscano.
E che molto bene sta portando avanti, in versione politically scorrect anche Marco Travaglio, che di Montanelli fu prodigo figlioccio.
Sono dubbioso ma voglio scendere per conoscere di persona l’uomo.
Chiedo consiglio all’amico professore Luciano, mi dice che secondo lui non è giornata.
Scelgo lo stesso di rischiare tanto oggi sono già morto una volta: decido di avvicinarmi.
“Dr.Fini, la vorrei salutare” mi presento anche a nome di Movimento Zero, sezione di Ravenna.
Lui si alza sorpreso, abbozza un timido sorriso e mi dice due parole, con il tono del vecchio amico ritrovato : “Oh,ciao!”.
In sei lettere c’è tutta un’umanità, un mondo. Quello delle ideologie che ci accomunano, certo, ma soprattutto quello degli uomini, di due uomini.
Il maestro irriverente e scomodo e l’allievo attempato, incompetente e presuntuoso.
Parliamo pochissimo , il mio imbarazzo è evidente e mi ricorda l’ approccio che ebbi, da ragazzino, di fronte al gigante delle montagne, Mario Rigoni Stern.
Avrei voluto scrivere una breve cronaca di una giornata di assemblea: forse lo farò.
Ma oggi ho scritto di un incontro. Di quelli che si contano sulla punta delle dita.

ALESSANDRO BRAVELLONI



Ps. Abbiamo pubblicato questo post che è stato scritto da un nostro lettore, e lo facciamo con piacere. E' una sorta di omaggio al giornalista scrittore Massimo Fini, uno dei migliori che ci sono in Italia. Autentico ribelle dei nostri tempi.

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