giovedì 2 dicembre 2010

Giorgio Bocca: ritratto di un antitaliano contemporaneo

E' l'unico supersiste della schiera delle grandi firme del giornalismo italiano del novecento, quali Indro Montanelli ed Enzo Biagi. La sua scrittura è composta da una forma schietta e diretta, che fornisce al lettore una facile comprensione dei numerosi articoli e libri, scritti in una carriera che parte da prima della seconda guerra mondiale fino ad arrivare ai giorni nostri. Si tratta di Giorgio Bocca, firma di quel giornalismo pulito e mai scontato che ha fatto la storia del nostro paese. Nato a Cuneo nel 1920, polemista per eccellenza sin dalle prime armi, ha lavorato per diversi quotidiani e periodici tra i quali La stampa, L'europeo, Il giorno, e nel 1976 fu uno dei fondatori del quotidiano La repubblica, dove tutt'ora è una delle firme predilette. Attualmente scrive inoltre per Il venerdi, e su L'espresso tiene una rubrica fissa dal titolo "L'antitaliano", in cui la sua voce "dritta" non ha remure a denunciare difetti e proteste nei confronti della totale sfiducia nell'attuale classe politica e nella società italiana.
Partigiano della formazione di "Giustizia e libertà" durante gli anni che vanno dal '43 al '45 (militando tra le file del Partito d'Azione), si batte con arduo fervore a difesa della Resistenza antifascista contro il revisinismo storico che tende a svalutarla anche attraverso i libri pubblicati dal collega Giampaolo Pansa, in cui si tenta di paragonare i partigiani ai combattenti dell'allora Repubblica Sociale mussoliniana.
Acerrimo nemico della globalizzazione, ha sposato diverse cause, attraverso i suoi scritti, a favore della legalità muovendo da sempre profonde critiche verso Silvio Berlusconi e il modello americano.
Tra le innumerevoli interviste svolte nel corso della sua carriera, da non scordare l'ultima che tenne al Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, un mese prima di essere ucciso dalla mafia a settembre del 1982, il quale, da poco nominato Prefetto di Palermo, chiamò nella capitale sicula il giornalista, rilasciandogli dichiarazioni riguardani la condizione di assoluta solitudine e privazione di potere da attuare nei confronti della lotta alla mafia, da parte del Governo italiano.
Da sottolineare inoltre la dichiarazione importante e significativa che rilasciò nel 2007, in cui sottolineò: «Sono certo che morirò avendo fallito il mio programma di vita: non vedrò l’emancipazione civile dell’Italia. Sono passato per alcuni innamoramenti, la Resistenza, Mattei, il miracolo economico, il centro-sinistra. Non è che allora la politica fosse entusiasmante, però c’erano principi riconosciuti: i giudici fanno giustizia, gli imprenditori impresa. Invece mi trovo un paese in condominio con la mafia. E il successo di chi elogia i vizi, i tipi alla Briatore».
Un signore d'altri tempi verrebbe da dire, che a novant'anni suonati, mostra ancora una lucida freschezza mentale e uno spiccato linguaggio lineare e diretto in un panorama servile e schiavo dei poteri che nel nostro paese è quasi un'affermazione ahimè scontata.
Ma veniamo alla rubrica che prende il nome de L'antitaliano, e cerchiamo di capire come mai il grande giornalista adotti per sè questo appellativo, quali sono le cause e le circostanze che lo hanno portato a ciò?
Probabilmente, a mio avviso, perché in Italia ci sono due categorie principali che per stile e modo di vivere s'affacciano sulla penisola: sono appunto gli antitaliani e gli arcitaliani (ossia italiani duri e puri contemporanei). Quindi, verrebbe da chiedersi, chi sono questi (arci) italiani? Dove si vedono? Che comportamenti assumono nel nostro paese?
Gli (arci) italiani sono probabilmente coloro che ai funerali "importanti" battono le mani come oche. Sono quelli che pensano che evadere le tasse sia un gesto d'astuzia invece che un reato. Quelli che mostrano i denti sforzatamente negli scatti fotografici dove sembrano trovarsi alla fiera delle dentiere luminose. Son coloro che credono che il codice penale sia più uno stato d'animo, e che la legge è più uguale verso qualcuno anziché per tutti. Quelli lampadati in cera di cotto anche in inverno. Sono i ragazzi che pur di comprarsi i cerchi in lega per la macchina sportiva mangiano pane e acqua per diversi mesi. Sono quelli che pensano di essere uomini migliori solo perché indossano capi firmati. Quelli che credono che col denaro si possa comprare qualsiasi cosa e qualsiasi persona. Sono coloro che pippano e si gettano nel mucchio delle discoteche alla moda. Sono coloro che per trarre vantaggi in un campo importante si lasciano corrompere a prestazioni sessuali. Gli arci italiani sono i personaggi come Briatore, Lele Mora e Fabrizio Corona e tutti quelli che stanno in ginocchio ai loro piedi. Sono quelli che fanno la fila per giorni davanti ai centri commerciali per comprarsi il cellulare più moderno appena uscito sul mercato. Sono quelli che non hanno rispetto per gli anziani. Quelli che se vedono una ruga in più sul viso cadono in depressione, vanno dallo psicologo e poi dal chirurgo plastico. Coloro che non hanno problemi e non hanno niente da conquistarsi onestamente e che di conseguenza si creano problemi da soli e ne creano gratuitamente agli altri, e gravi. Quelli che non pronunciano mai la parola "morte", a favore di "scomparsa". Sono (arci) italiani tutti quelli che dicono che Enzo Biagi era un criminale e che se n'è andato dalla Rai di sua spontanea volontà, invece che essere stato licenziato. Coloro che pensano di essere degli arrivati e delle star solo perché vanno in televisione. Coloro che inciuciano e fanno sporchi affari a vantaggio dei propri interessi. Sono quelli che non rispettano le leggi e insultano i magistrati che la applicano. Quelli che elogiano in pubblico la Costituzione della Repubblica italiana e poi in privato la usano come pezzo di carta utile solo per pulirsi il culo.
Arci italiani sono questi e altro ancora, e se il grande giornalista Bocca si identifica in tutto quel che ne è l'esatto opposto, posso aggregarmi alla sua schiera e di tutti coloro che si sentono profodamente antitaliani contemporanei per vocazione.



3 commenti:

  1. Ehy io ho i cerchi in lega ma non ho fatto i debiti...i soldi ce li ho...anzi

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  2. Martin lo sappiamo che tu ce li hai i soldi. non era rivolto a te in particolare. Io voglio però dire che le persone sono quasi costrette a farsi i debiti per comprarsi lo status symbol di turno, il motivo è semplice. E' la paura. Se vedi qualcuno che non ha gli status symbol fa paura e non gli parli perchè pensi che ti voglia fottere invece se ha lo status symbol è di primo acchito più affidabile perchè e svela di essere una persona che ha gli stessi ideali, costumi e cultura di chi segue la tv e quindi non ti fa paura.

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  3. Caro Fabio Casi, sono a conoscenza purtroppo delli'uso di alcune persone di status symbol che adottano per essere accettati in alcun contesti.
    E' una moda adottata nelle periferie delle grandi città e nelle province. Se non c si veste e non si fanno le stesse cose che la maggior parte della massa segue, si viene d conseguenza messi da parte, quondi emarginati. E' un comportamento mafioso a tutti gli effetti. proprio per questo, come di recente abbiamo scritto, il fenomeno mafioso è entrato nella mente dei giovani, perché mafia è anche quando si tende ad isolari chi la pensa diversamente, emarginandolo e condannarlo a una "morte" psicologica.

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